“Leggo una poesia e sento d’averla capita. La
rileggo e capisco che non è così. Di solito alla terza lettura,
capisco di non aver capito. E valuto la possibilità di essere scemo.”
Forse per consolazione, forse per difesa, la mente mi guida
a suggerimenti nietzschiani. “Non ci sono fatti, solo
interpretazioni”.
Nell'Ermeneutica contemporanea le riflessioni a
proposito sono profonde, affascinanti quanto varie, e trovano spunti ideali
nell'esegesi teologica, nella psicologia e, non di meno, nella fisica
quantistica e concretamente, ancor più in là, nella giurisprudenza.
E che questo sia un terreno fertile su cui far
crescere l’Arte Attuale, visiva e non, appare evidente anche ai profani.
Il dibattito critico “autorevole” a riguardo, sostenuto
da eminenti personalità della cultura artistica, giunge a livelli di luminosa
genialità interpretativa, ma, purtroppo, toccando spesso ambiti
economico-politici sospetti, aggiunge alla già aleatoria veridicità degli
interventi, il dubbio della loro insincerità.
Seppur tu possa spiegare con acume un’opera, se poi la
vendi, ai miei occhi puoi apparire un procacciatore d’affari. Se celebri un
artista affermato per partito politico, peggio ancora: servitore di due
padroni.
Come che sia, volando rasoterra perché qui interessa,
trovo curiose le discordi interpretazioni della stessa opera d’arte al variare
dei commentatori e al variare del tempo. La mia attenzione, soprattutto di
natura psicologica e sociale, trova occasione utile nelle arti visive e nella
poesia lirica d’oggi.
Avendo l’opportunità di seguire vari commenti a
proposito, in libere manifestazioni, incontri alla pari, convegni e siti web
dedicati, resto ulteriormente sorpreso di come la frettolosità di pensiero, l’urgenza
del dire, cifra del nostro tempo, influenzi la capacità interpretativa. E come
questa, al presente, rischi semplicemente di far parlare d’altro. I fatti sembrano
diventati le reiterate narrazioni su fatti presi a pretesto (le opere d’arte) e
le interpretazioni (come questa mia) i nuovi fatti per successive narrazioni.
Il ciclo che chiude, innesca un moto perpetuo. Del chiacchiericcio pettegolo.
Più che dall'ignoranza dell’ermeneuta, il limite sembra correlato alla poca
consapevolezza dell’impazienza espressiva, soprattutto se accompagnata da
esigenze di protagonismo narcisistico. Nel mondo dei social, chi ascolta
se tutti parlano? A tali condizioni, pur nella massima liceità, la Critica
d’Arte attuale appare una cacofonia corale in un paese di sordi.
Qualcuno suggerisce allora che l’Arte vada solo avvicinata.
Non capita, sentita. Di pancia. Con buona “Ragione”?