mercoledì 29 gennaio 2020

Sulle arti visive



Riflessioni su potere, libertà, attualità                                                                                                                                                                                                                  

Se si potesse interpretare l’arte visiva considerando esclusivamente i rapporti tra Potere ed artisti, la facile constatazione di tali relazioni potrebbe semplificare di molto l’analisi del fenomeno artistico.

In Occidente, alla Storia probabilmente scritta dai vincitori, si coniuga l’idea che siano stati i Potenti a deciderne l’Arte. Tralasciando per pudore di commentare grandi Talenti, vien da pensare, come esempi immediati, al legame di ogni re coi pittori di corte, della chiesa cattolica coi dettami controriformistici, di Napoleone con J. L. David, delle dittature del Novecento con il realismo monumentale. Sino a citare la CIA con l’Espressionismo astratto. Da questa prospettiva l’Arte sembra essere stata prodotta ad uso propaganda: a favore di una autorità personale, ideologica o sociale.

Esaminando il presente, il potere nell'arte appare meno diretto, nascosto, celato per complessità e per intenzione: la propaganda rischia di non avere nome e per questo di essere più insidiosa. La logica del Consumismo capitalista trasformando l’arte in prodotto, in merce, in equivoco del desiderio, è costretta ad operare con strategie di marketing affinate, meno direttive e poco impositive. Questo, non per senso etico, ma per non contaminare l’innocenza presunta dell’Arte, la sua aura spirituale agli occhi dei compratori e con ciò favorirne il valore monetario. Con sottaciuta l’ideologia slogan dell’attuale sistema globale: il Mercato è il nuovo padrone.
Si dice che una delle forme del desiderio consista nel desiderare ciò che l’altro desidera.

Così, attribuire fittiziamente valore ad un’opera attraverso una costruita attribuzione di popolarità, una conferma della stessa mediante rassicuranti testimonial, ridondanti presenze e visibilità, resta funzionale alla seduzione ed opera strategicamente nel mercato dell’arte – oramai palcoscenico del consumo - come per ogni altro tipo di mercato.


  L’opera d’arte, dopo un iniziale momento di sorpresa emotiva, soddisfa gli stessi processi pulsionali relativi alla compravendita e finisce per non essere più il tramite verso un percorso conoscitivo, formativo e spirituale.                Nella società attuale la persuasione è diventata scienza e lavora conoscendo sistemi di ricompensa neurologici, considerando i livelli di dopamina e tutti i processi psicologici che portano al consenso. Il fruitore acquirente rimane spesso vittima inconsapevole del sistema seduttivo: talvolta è un benestante, arricchito in fretta e con poca cultura, che si attornia di opere d’arte per superare la frustrazione nata dal confronto intellettuale con altri, altre volte è una persona in crisi esistenziale che spera nell'azione terapeutica dell’Arte, altre ancora un ricco borioso che ostenta quello che altri non possono permettersi: una banana con lo scotch di Cattelan od un multiplo rovinato di Bansky. Ma il desiderio trova varie strade per realizzarsi ed una grande massa di persone facilmente opta per altri mercati – non artistici e a minor costo -, tanto più che le nuove tecnologie li favoriscono e nuove tecniche di marketing li controllano. Alla fine, e non bisogna stupirsene, l’interesse artistico collettivo viene meno. Nei social, ad esempio, diventati oramai abitudine compulsiva, per i più dipendenza emotiva, l’Arte resta sullo sfondo in compagnia di gattini e cuoricini. Un contorno decorativo ed un riferimento poco significante.


Per quanto veritiere possano essere le considerazioni esposte sopra, esse rimangono piuttosto riduttive.     

Ben oltre i legami col Potere e col Consumismo esiste un aspetto basilare, un’Arte altra, radicata nella sfera più profonda dell’animo umano, nutrita dal bisogno di libera espressione, testimonianza della stessa condizione esistenziale. Certamente l’Arte si vende e certamente qualcuno la fa, ma spesso non necessariamente per il Mercato. In tal contesto non esistono ideologie, coercizioni, manovratori: c’è un momento in cui l’artista sente nascere l’opera come estensione di sé, avverte allentarsi la catena che lo aggioga ad un obbligo e risuona vitale la voce della creatività. Un Uomo in cerca della sua stessa Umanità. Molti artisti di successo, coinvolti nei processi su descritti, soffrono di nostalgia per questo momento oramai perduto. Altri hanno saputo conservarlo perché coscientemente hanno scelto di mantenere viva la loro innocenza. Qualche maligno imputerà ciò al fatto che tale purezza sia dovuta al non aver trovato mercato, un canale distributivo o addirittura il successo: non virtù dunque, ma banale necessità. Anche se fosse, ed in buona parte può esserlo, tutto questo rimane in grado di produrre un percorso salutare, conservare fluido lo scorrere della creatività e nutrire l’albero della varietà. Oltre a rappresentare a livello personale uno straordinario fattore di crescita.


 Tuttavia, anche in questo stato positivo rimane incombente una spada di Damocle, un rischio vischioso ed un obbligo inconsapevole: l’esigenza del Nuovo, cifra del Contemporaneo o, meglio, dell’Attuale.


 Uscire da un canone estetico non più rappresentativo per la propria identità non equivale però ad inseguire la chimera della novità per sentirsi alla moda, per fuggire dall'isolamento od aspirare alla popolarità. L’atto di rottura avviene per moto spontaneo, persino doloroso ed improcrastinabile. Rappresenta la fuoriuscita da uno stato di crisi latente ed ha caratteristiche di genialità, completamente diverse da quelle nate da scelte opportunistiche, avvolte piuttosto in un abito di superficiale stupidità provocatoria. Non è facile distinguere le une dalle altre: molto dipende dalla preparazione e dalla sensibilità di chi guarda. La trappola del Nuovo rimarrà perciò motivo di valutazione critica, di interpretazione e confronto ancora per un buon tempo a venire. Croce e delizia della realtà contemporanea.


Ad una moltitudine di artisti visivi, spesso epigoni di chi li ha preceduti e di modesto talento, viene venduta, da una schiera di mercanti, la lusinga dell’immediata visibilità e del successo, corrispondente nei fatti, invece, ad un rapido alleggerimento del conto corrente e ad un mare di vanagloria. Eppure, evitato il tranello, superata la frustrazione della trasparenza sociale, agli stessi artisti è dato il privilegio della libertà. Una Libertà, se consapevoli, dove si è liberi anche di non essere liberi e con coraggio ci si riappropria dei propri confini, dei limiti imposti da un procedere manuale e paradossalmente anche della possibilità di smettere d’essere artisti. Guardare alla lezione di Duchamp non è facile e forse ingiusto. L’atto creativo è spesso e comunque fonte di felicità e non può essere negato per affabulazioni teoriche.
                                                                 
Esiste un ambito ristretto anzi, dove questo può essere valorizzato e moltiplicato, superando l’isolamento ed il rischio d’essere liberi, ma di essere nulla. In questo spazio regna il confronto artistico, l’apertura e la condivisione. 

Si materializza nelle forme dell’associazionismo, nella nascita di gruppi e di manifesti artistici. Il vuoto di senso allora si riempie di partecipazione, di crescita e di stimoli. Finalmente senza padroni: artisti con artisti per discutere, litigare ed inseguire l’indicibile. 

Il luogo dove ogni amante dell’Arte può sentirsi invitato.