Giungeva a cavallo,
una volta, il Vate
a dirci come, a dirci dove,
giungeva trionfante
la sua parola per sempre.
Ma ora, invece,
che è difficile credere,
non resta che un comico
a pregarci di ridere.
Giungeva a cavallo,
una volta, il Vate
a dirci come, a dirci dove,
giungeva trionfante
la sua parola per sempre.
Ma ora, invece,
che è difficile credere,
non resta che un comico
a pregarci di ridere.
Anche in cima alla cima,
toccando il cielo e la luce,
giocando a carte con gli angeli,
sentirai d’aver fame.
Anche nel fondo del fondo,
toccando l’oceano e l’abisso,
facendoti branchia di pesce,
sentirai d’aver sete.
Il bisogno t’incontra e t’aiuta,
abita in ogni luogo,
anche la mente di chi lo rifiuta.
Sotto la scorza
qualcosa si torce, si muove,
si apre al respiro,
vibra e grida di un mondo nuovo.
Ma io ancor dubito,
mi guardo alle spalle,
mi giro insicuro.
La primavera è un miracolo
che sorge dal buio.
E il fiore azzurro
che guarda nascosto,
impaurito son io:
stupito, precario
e grato d’essere vivo.
Com’è difficile, di mare in mare,
di scoglio in scoglio, cercare il senso,
discernere gli inganni
e sopravvivere ai dubbi,
sorridere a risposte già date,
amando il semplice
e tollerando l’idiota!
Com’è difficile evitare il naufragio
e proseguire cercando.
Ora che l’isola è deserta!
Sorge il sole in bilico sull’orizzonte.
Sembra nascere di parto podalico
tra le nubi plumbee della notte:
un raggio, poi due e tutto
per rifarsi all’antico testamento
del giorno
in cui nacquero la gioia e il dolore.
Ancora non so se lo temo.
La luce, talvolta,
fa più ombre del buio.
Io non so se il mio
è un desiderio d’anima,
un bisogno di bestia
o necessità d’Altro.
L’amore abita la follia
come le nuvole il cielo:
fugge, torna
e dove stia il sereno
ancora non vedo.
Forse dove le parole non servono,
ogni angolo arrotonda
e tutto è madre e mai pensiero.
C’è una tortora che canta per me.
Il suo è un tubare continuo,
un suono unico e ossessivo,
ma in questo letto d’afa,
in questo mattino intristito
è voce d’angelo vicino.
Nel mio giardino
c’è una tortora che canta per me.
L’illusione non sa far ombra:
lieve sui refoli d’aria
assomiglia a un velo,
puro e luminoso,
che si posa sulle cose
come parola di fata,
una carezza della vita
sino a che si crede.
E quando tramonta si fa buio
e la tragedia diventa suo erede.
Qualcuno imperterrito insiste,
suggerisce il come,
commenta gli eventi del mondo,
interpreta le burrasche del cuore
e fa correre parole ovunque,
senza freno e senza pace.
Senza sapere di non sapere.
È così che la tristezza
diventa sconforto.
L’Idiota è il padrone del gioco.
Avrei pensato nella vita di far meglio:
portare briciole ai piccioni,
dare acqua ai fiori,
prendere sole tutti i giorni.
E invece qui, se ci ripenso,
mi trovo con lo sguardo assente,
l’aperitivo che sghiaccia
e la sigaretta che si spegne.
Avrei pensato nella vita di far peggio:
parcheggiare a caso,
inquinare l’ambiente,
fare il furbo ogni niente.
E invece qui, se ci ripenso,
mi trovo con la cravatta pendente,
una penna falso oro
e un figlio dipendente.
E dire che bastava
pensare veramente.