Qui, il silenzio è tanto
da stupire gli orecchi
e il cuore, salendo,
parla per tutti.
Giù, a valle,
qualcuno si ama,
qualcuno si odia
in una festa inutile.
Qui, l’allegria
è un rincorrersi di nuvole
e l’amore per sempre,
si chiama pace.
Qui, il silenzio è tanto
da stupire gli orecchi
e il cuore, salendo,
parla per tutti.
Giù, a valle,
qualcuno si ama,
qualcuno si odia
in una festa inutile.
Qui, l’allegria
è un rincorrersi di nuvole
e l’amore per sempre,
si chiama pace.
Ora volano in alto, bianchi.
Non saranno angeli,
anzi saranno aironi,
forse cicogne o forse gru.
Qualcuno tra loro
ha mangiato rane,
qualcun altro topi,
qualche biscia
trovata nei fossi.
E ora volano.
Io, circondato dai sassi,
rimango con occhi umani
a guardarli, selvatici,
salire in su.
Lo stupido è colui che,
chiudendo gli occhi,
crede non esista più il mondo.
Lo stupito è colui che,
riaprendoli,
Ora che la vanagloria
è ben piegata e posta
tra canotte e calzini,
la primavera mi ricorda
che vivrò una volta sola.
Per questo fiuto l’aria
e provo amore
anche tra sassi, merde di cane
e ogni anima sincera.
Lascio in silenzio la carta e il lapis
che tenevo a cuore.
Tu tieniti i premi, i diplomi,
le foto coi potenti per cui scrivi.
Io riprendo l’onore d’esser uomo.
Quel po’ di nebbia infine,
non ha saputo stare.
S’era seduto sulla pianura,
com’è suo modo fare,
pensando d’esser bene,
confidando d’ accudire
i pioppi scarni, le foglie marce,
le creature infreddolite e affamate.
Invece al suo partire,
un sole, pur timido e distante,
è sembrato poter dire
quel che a tutti era già chiaro:
chi tronfio s’invita
amaro riparte,
chi troppo si crede,
più che utile, diventa irrilevante.
Ora il ginocchio scrocchia.
A vent’anni, quand’era
silente,
era emblema d’assenza e salute,
così come l’amore,
che c’era ed era, incosciente,
per grazia ricevuta,
luminoso e presente.
Ora, anche l’amore scricchia
per usura e per danno,
eppure, la cura e il sostegno
gli leniscono l’affanno.
È così che s’impara:
come la fatica e il dolore
costruiscano un senso
e possano offrire il valore
che le cose gratuite,
spesso, non hanno.
Ora so che non ce n’è:
che la lingua s’è fatta secca,
finta e via via inaridita,
che le parole si son fatte sciocche
per il mondo semplice di oggi
che semplice non è.
Ora so che i poeti s’arrenderanno,
orneranno di blablà il passato
e abiteranno comodi
i libri d’ una riserva indiana.
Cosicché ogni canto
testimoni versi miseri come
“ora so che non ce n’è”
nel conforto codardo
del “così fan tutti”.
Ho sognato di non sognare più
e subito il prato è diventato cemento
e gli amici di sempre: solo amici
o amici per niente.
Ho sognato di non sognare più
e il cielo è sceso più in basso
e l’illusione s’è fatta evidente.
Ma è ancora un sognare.
Per questo i sogni non sono veri,
sono soltanto sinceri.
Quello che cercavo nei tuoi occhi,
cadeva dai tuoi occhi
come una luce spenta,
dalle palpebre alla bocca,
dall’equatore al polo.
Era allora che cercavo d’aiutarti
come sanno i più sciocchi:
col sorriso e l’ironia,
eppoi con il fare perfetto
di chi non esiste,
non sbaglia e non difetta mai.
Ora so che il dolore umano
è troppo per tutti
e anche i figli non possono
e i bimbi ancor meno.
E solo il tempo è un porto,
un frustolo di cielo sereno.
Nella casa senza porte,
a volte gioisce chi entra,
a volte gioisce chi esce.
Ma tutti sanno di vivere.
Il tempo frena.
Nel silenzio agostano provo ad aspettare
che almeno l’aria mi traversi le narici,
che la saliva scenda in bocca,
che una nuvola compaia nel cielo sereno.
Come faccia il cuore
a battere ancora
per tanto nulla
è un miracolo che non mi spiego
e per questo amo davvero.
Se la noia ha un tempo
spero non sia l’eterno.